Immagina uno stadio gremito, l’aria densa di aspettative. È il 3 giugno 2017, e la Juventus affronta il Real Madrid nella finale di Champions League a Cardiff. Dopo un primo tempo equilibrato, concluso sull’1-1, il secondo tempo si trasforma in un turbinio inaspettato: il Real Madrid segna tre gol e chiude il match sul 4-1.
In quell’istante, in campo, non è solo il gioco che cambia, ma anche l’universo interiore degli atleti.

Il vortice emotivo in campo

Durante una competizione, le emozioni sono come onde che si infrangono, travolgendo ogni pensiero. Immagina l’adrenalina prima di un gol, l’euforia che esplode quando la palla entra in rete, e subito dopo, la delusione o l’angoscia quando tutto sembra sfuggire di mano.
In un momento di alta tensione, come quello vissuto dalla Juventus in quella finale, ogni emozione si amplifica: la gioia per ogni azione positiva, la frustrazione per ogni errore, e la pressione schiacciante della consapevolezza di dover performare al massimo.
Questo vortice emotivo, se non riconosciuto e gestito, può oscurare il giudizio e alterare la percezione della realtà. L’atleta, immerso in questo turbine, deve imparare a “prendere una pausa” interna, a riconoscere e accogliere quelle sensazioni senza lasciarsi travolgere, trasformando ogni emozione in un segnale da ascoltare e comprendere.

L’intreccio tra emozioni e pensieri

Le emozioni non agiscono isolate, ma si intrecciano costantemente con il dialogo interno. Dopo un errore, ad esempio, la mente può attivare un monologo critico: “Ho sbagliato, non sono all’altezza”, oppure, al contrario, un messaggio di incoraggiamento: “Posso riprendermi, c’è ancora tempo per rimettermi in gioco.”
Questo dialogo interno, quasi come un allenatore invisibile, può sostenere o minare la performance. Quando le emozioni si fanno intense, anche i pensieri tendono a polarizzarsi; un picco di ansia può generare una spirale di dubbi, mentre un istante di calma può far emergere la fiducia e la concentrazione necessarie per reagire.
Riconoscere questa connessione diventa fondamentale: imparare a “dialogare” con se stessi, a trasformare i pensieri negativi in spunti di crescita, permette di trovare l’equilibrio. In questo modo, ogni emozione diventa una fonte di informazione preziosa, e il dialogo interno un alleato nel processo di autoregolazione, essenziale per navigare le sfide della competizione.

Strategie per armonizzare mente ed emozioni

Gestire le emozioni e il dialogo interno non è un “talento” riservato a pochi, ma una capacità che si può allenare — proprio come la tecnica o la resistenza fisica.
E l’allenamento mentale, per essere davvero efficace, deve iniziare prima della gara, durante la preparazione quotidiana. È lì che si costruiscono automatismi, riflessi emotivi, abitudini di pensiero.

Ecco alcuni spunti concreti da integrare negli allenamenti — o da praticare anche fuori dal campo:

1. Consapevolezza emotiva quotidiana

Durante l’allenamento, dedica qualche minuto alla fine di ogni sessione per rispondere a queste domande:

Scriverle su un taccuino aiuta a renderle più visibili e meno ingombranti.

2. Allenamento del dialogo interno

Scegli un’azione che ti mette in difficoltà (es. un esercizio tecnico complesso o una situazione di pressione) e annota:

Poi prova a trasformare il messaggio con uno più utile e concreto. Non un “devo essere perfetto”, ma “mi concentro su quello che posso fare ora.”

3. Routine di centratura

Inserisci momenti di pausa mentale anche brevi (1-2 minuti), ad esempio tra un esercizio e l’altro:

Queste routine sono piccole ancore che, se coltivate con costanza, diventano accessibili anche nei momenti più intensi della gara.

Allenare questi aspetti non significa eliminare le emozioni, ma imparare a riconoscerle, accoglierle e trasformarle in risorse.
È un lavoro sottile, che richiede presenza e gentilezza verso di sé — proprio quello spazio che puoi trovare anche nel coaching.

Una domanda per iniziare

Ti va di provare?
Puoi cominciare con una riflessione semplice ma potente:
Cosa mi racconto quando le cose si fanno difficili?

E da lì, lasciare emergere una risposta. Oppure costruirla insieme.
Magari lo sportello di coaching può essere il luogo giusto per farlo.

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